Perché amiamo soffrire? Come mai proviamo un certo piacere proprio in quelle situazioni stressanti, cariche di tensione? Perché ricadiamo spesso e volentieri nei soliti vecchi errori, nonostante i nostri migliori propositi? Non si tratta solo di destino, o di altre forze misteriose: la risposta, una risposta, risiede nell’inconscio, in particolare porta il nome di godimento.

Questo termine assume un significato specifico grazie a Jacques Lacan, psicoanalista francese del ‘900 dal pensiero tanto controverso quanto innovativo. Prima era semplicemente un sinonimo di piacere, tant’è che lo stesso Freud parlava di principio di piacere, indicando quella tendenza a ricercare appunto la soddisfazione e a ridurre al minimo la sofferenza.

Lacan, però, non ritenendo sufficiente tale spiegazione, utilizzò proprio il termine godimento per spingersi al di là del principio di piacere: l’essere umano non ricerca solo il piacere, anzi spesso e volentieri mira proprio alla sofferenza. In quest’ottica il godimento si configura come un insieme di piacere e di sofferenza, peculiare per ogni soggetto; in altre parole, ognuno gode di un insieme unico di soddisfazione e dispiacere. Ogni istanza di godimento, inoltre, è diversa: di volta in volta infatti può tendere più verso il piacere o verso il dispiacere.

Di conseguenza, il godimento non ha sempre un’incidenza gravosa sulle nostre vite: è qualcosa a cui siamo legati a doppio filo, e il nostro rapporto con esso condiziona con i suoi effetti, positivi o negativi che siano, la nostra esistenza.

Non sempre tendiamo verso il piacere, ma piuttosto verso un certo livello di tensione che abbiamo “affinato” nel corso della nostra vita. L’infanzia, possibili traumi o anche altri eventi importanti concorrono a stabilire un particolare livello di tensione, di godimento, ottimale.

Superando questa soglia, o anche rimanendo troppo al di sotto di essa, si ha una sensazione di disagio, di dissonanza rispetto al proprio vissuto. In altre parole, persino quando non c’è abbastanza stress, sofferenza, cioè paradossalmente quando siamo “troppo sereni”, sentiamo che qualcosa non va, proviamo insoddisfazione.

Dal lato opposto però potremmo anche dire che esiste un livello di tensione e dispiacere che non solo possiamo sopportare, ma che ci rende più attivi, efficienti, vitali. Una risorsa, dunque, non solo un pericolo o una strada senza uscita.

Come abbiamo visto, quindi, c’è nell’uomo una tendenza sia verso il piacere che verso la sofferenza, o meglio, verso un piacere-dispiacere che si muove lungo i binari dell’inconscio, modellati da infanzia, traumi, eventi di vita. Ciò non toglie però che ognuno di noi detiene la libertà di scegliere se accettare questo godimento, e la responsabilità che ne deriva, o se tentare disperatamente di evitarlo tramite un compromesso, il sintomo, il quale altro non è che un godimento senza redini, sbrigliato, fuori controllo.

Dott. Matteo Ciccarelli