Il seguente articolo è il terzo estratto da Elogio dell’incertezza.

Per parlare di tale capitolo, mi sono fatto influenzare da Gregory Bateson, antropologo e psicologo britannico del secolo scorso, autore del libro dal titolo “Verso un’ecologia della mente”.

Questo capitolo cerca di indagare, di porsi delle domande su alcuni aspetti: che musica ascoltiamo? Che film guardiamo? Che aria respiriamo? Che cosa mangiamo? Che cosa beviamo? Che rumori sentiamo o ascoltiamo?

Per parlare del tema dell’ecologia, inizio con un’esperienza accadutami personalmente. Invitato ad una riunione con altre persone su dei temi rilevanti sotto il profilo dell’interesse culturale, mi sono sentito di portare una bottiglia del mio vino preferito. Nel momento in cui tale vino viene messo al centro del tavolo, il padrone di casa dispone dei calici con vicino dei bicchieri per l’acqua. Una volta riempiti con qualche dito di vino tutti i calici, il signore di fronte a me prende la bottiglia d’acqua e, invece di dirigerla sul bicchiere preparato per l’acqua, la dirige su quello del vino, dando vita, tramite l’entrata del liquido trasparente che si miscela con il vino, ad un liquido rossastro. In questo momento, ho sentito passare un brivido lungo il mio corpo. Il signore prende il calice, dove il rosso piceno è stato terribilmente mescolato con l’acqua, fa un sorso pieno e dice: “buono questo vino!”.

Ecco, sotto il profilo dell’ecologia si è creata una ferita, una frattura.

Io ritengo che la parola chiave riguardo a questo tema sia la parola ‘aristocrazia’. In che senso ‘aristocrazia’? Àristos che vuol dire in greco “ottimo” e kratos, “comando”, vale a dire il comando dell’ottimo, la guida del migliore, il meglio che governa. Quindi, occorre farsi una domanda: chi conduce la nostra vita? La televisione resta accesa per ore sul programma che passa, accettiamo e aderiamo a qualsiasi chiacchiericcio già masticato, internet di ogni tipo o internet selezionato?

Quando parlo di aristocrazia non intendo il meglio in assoluto, intendo il migliore per me e, quindi, mi piacerebbe parlare di un’aristocrazia umile, non vista come modalità esiliante, ma anzi una modalità pregnante di relazioni e di umanità e anche di umiltà, dove mi sporco le mani con quello che ritengo la cosa migliore per me, la musica migliore per me, il vino migliore per me, le relazioni e gli argomenti migliori per me. Certo è che il meglio, il più bello non può avere un valore assiomatico, tutto ciò è soggettivo e quindi occorre impostare una ricerca di ciò che potrebbe essere bello, migliore. Di sicuro esistono dei nemici dell’ecologia della mente e sicuramente sono il rumore esagerato, la velocità compulsiva, la chiacchiera, la musica non selezionata, i media, gli stereotipi e pregiudizi, l’ignoranza, il fatalismo e il bigottismo.

Ritorno a parlare dell’aristocrazia che è il passaggio, l’ingrediente fondamentale per l’ecologia della mente, non intesa nel senso di alterigia o di boriosità, ma nella profonda umiltà che, secondo me, a volte deve essere connessa anche con l’austerità e la lungimiranza.

L’obiettivo dell’ecologia della mente si raggiunge, come per tanti altri aspetti, tramite un training, un allenamento, per mezzo delle azioni che continuamente io faccio con una sorta di atteggiamento e di modalità, perché devo abituare il mio sistema al bello, al meglio, al migliore. Questo tema, come altri, ci obbliga a ripensare e a rivedere quello della formazione e dell’educazione dei più giovani, riguardo gli atteggiamenti alimentari, riguardo gli atteggiamenti di cura del corpo, riguardo la cura della salute tramite il movimento, il rispetto per la natura e per la vita in generale.

Direi che, a livello educativo-didattico, la partita più importante oggigiorno si gioca su due ambiti. Il primo è quello dell’alimentazione, dove molto spesso nelle mense scolastiche e in altre situazioni non si costruisce una cultura del cibo, ma si ragiona su tale tema esclusivamente come un fornitore di energia e quindi, per quanto riguarda le quantità, queste non vengono rispettate, in relazione ad un’opposizione soggettiva, ma anche in relazione alla fatica di chi quel cibo lo ha preparato; a volte si ragiona su un cibo che in pochi secondi diventa spazzatura o altre volte su un cibo che può esserti preparato in modalità completamente diverse a seconda dei propri desideri. L’altro aspetto è quello della gestione del caldo e del freddo, dove ci spende spesso in proclami riguardo all’importanza dell’ecologia ambientale, ma poi si hanno situazioni nel pubblico, più precisamente nella scuola, dove i termosifoni sono tenuti al massimo del riscaldamento con le finestre contemporaneamente spalancate.

Quindi, l’ecologia della mente è una condizione che si sceglie, non la si trova e, per poterla raggiungere, è necessario costruire un percorso educativo, un percorso di allenamento che, in qualche modo, comporti una dose di fatica (parleremo in seguito di fatica) e di conseguenza anche un importante grado di attenzione.

Sammy Marcantognini