Nel Seminario VII, e in particolare nel capitolo conclusivo, dedicato al tema dell’etica della psicoanalisi, Lacan abbandona il suo stile notoriamente criptico, regalando al lettore alcune pagine tanto chiare quanto profonde e toccanti.

“Avete agito conformemente al desiderio che vi abita?”

Con questa domanda spiazzante, Lacan indica un’accezione particolare del desiderio, che non è quella del “capriccio”, della “voglia”, ma si rifà a un desiderio con la maiuscola, a un Desiderio che orienta dal profondo la vita del soggetto.

Esso si caratterizza dunque come una spinta, una forza intramontabile che muove il soggetto qua e là nel mondo in una ricerca incessante, ricerca peraltro di un qualcosa che è sconosciuto al pensiero conscio. Per Lacan il Desiderio è il desiderio dell’inconscio, e si distingue per la sua unicità in ogni soggetto: non a caso capire il proprio Desiderio e tentare di realizzarlo è un compito che dura una vita intera. E tale compito è un’opera di soggettivazione, cioè un’occasione per l’essere di farsi soggetto, di prendere in mano le redini del proprio destino, con l’effetto di una messa in contatto e di una riappacificazione con l’inconscio.

Uso proprio il termine “riappacificare” perché nella vita sono innumerevoli le occasioni per cui si finisce per tradire il proprio Desiderio, e più in generale il proprio inconscio.

Per timore, per paura, o magari per realizzare quello di qualcun altro, si smette talvolta di lottare per il proprio Desiderio: si pensa a un fatidico bene superiore e in conclusione si giunge a cedere sul proprio desiderio.

Quando ciò accade si vede emergere il senso di colpa, la sofferenza, il sintomo. Lacan su questo è molto deciso: “La sola cosa di cui si possa essere colpevoli è di aver ceduto sul proprio desiderio”.

Si può quindi comprendere quanto il desiderio sia importante per l’uomo, tant’è che Lacan stesso lo considera come “la metonimia del nostro essere”. Con ciò intende che esso ci può far avvicinare all’oggetto del Desiderio, ma che al contempo non permette mai di raggiungerlo davvero, mostrando nell’essere un vuoto, una mancanza strutturale, che denomina mancanza-a-essere.

È, per fare un esempio, lo stesso motore da cui prende ordine la creazione artistica e che spinge l’artista al suo lavoro infinito, mai soddisfatto del risultato ottenuto.

Data la sua importanza e la sua portata nella vita del soggetto, esso deve rimanere fedele al suo Desiderio, alla sua via, persino e soprattutto di fronte alle intemperie e ai tradimenti della vita. È chiaro che può capitare a chiunque di cedere, momentaneamente, sul proprio desiderio, ma Lacan individua nella figura dell’eroe colui che, nonostante il tradimento, ritorna sulla propria via, contrapponendolo all’uomo comune che rimane invece invischiato nel sintomo, nella sofferenza prodotta dall’abbandono del suo Desiderio.

Il celebre filosofo olandese Baruch Spinoza riteneva “l’uomo come essere desiderante”, definizione che alla luce dell’insegnamento di Lacan si potrebbe riformulare come: l’eroe come essere desiderante, che di fronte al proprio giudice morale interiore, alla domanda “hai agito in conformità con il tuo desiderio?” possa rispondere senza esitare (o anche tentennando un istante, per poi tornare composto): Sì!

Dott. Matteo Ciccarelli