Nel seguente articolo tratterò del settimo capitolo di Elogio dell’incertezza intitolato “Educazione” a cura di Camilla Barbaresi.
Inizio con il proporre una frase che, secondo me, definisce il modo più adattivo di intendere
l’educazione:
“L’allievo che non ha percorso almeno più della metà del cammino da solo non ha appreso
nulla” (Socrate).
I bambini non devono essere educati, ovvero non devono subire l’educazione, ma devono essere
partecipi nel costruirla insieme al genitore un po’ meno della metà dell’intero percorso di formazione.
Noi, come genitori, insegnanti, istruttori dobbiamo rassegnarci e metterci nella posizione di mediatori,
non di istruttori, in questa posizione dobbiamo occuparci di fare domande e di organizzare un percorso
di input per far sì che l’educante sviluppi da sé un percorso verso un possibile risultato.
Molto importante, per quanto a volte fuori dal senso comune, è un adeguato contenuto di frustrazione,
che genera un adeguato livello di energia tale da permettere di andare ad “acchiappare”
l’apprendimento. Per prendere questa strada serve il coraggio di abbandonare il nostro narcisismo (ed
egoismo) e di aspettare il risultato; infatti non è il risultato immediato il metro di misura di un buon
apprendimento.
La modalità di sostegno che un genitore attua nelle diverse attività della vita, ne descrivono il modo di
educare il figlio; ciò che bisogna mettere in atto non è ne un atteggiamento troppo invasivo e presente,
ne un atteggiamento di totale “abbandono” del piccolo nel proprio percorso, ma come sostiene Socrate
nella frase precedentemente riportata, è necessario che genitore e figlio collaborino insieme nella via
verso l’educazione.
È bene calcolare la corretta zona di sviluppo prossimale del nostro “educante” per proporgli un
problema piuttosto che un imprevisto che funga da stimolo; dobbiamo saper valutare ed osservare
quale può essere la possibilità di apprendimento dello stesso e su quella organizzare una proposta
didattica. Facendo un buon lavoro, la sensazione che si deve provare è quella di scomodità perchè, se
nel processo educativo siamo troppo comodi, è probabile che stiamo mettendo a posto le nostre
tensioni emotive agendo in modo egoistico.
Gli insegnamenti appresi per ripetizione, senza alcun vissuto emotivo, saranno quegli apprendimenti
dimenticati e dunque costituiscono materiale che farà disordine nella mente del ragazzo.
Il gioco è quindi la migliore forma di apprendimento, non si può dividere l’uomo ludens dall’uomo
esplorans perchè giocare significa sperimentare in modo creativo con i propri moduli comportamentali.
Quando esperiamo qualcosa che ci fa vivere un’emozione, quel qualcosa esperito rimarrà sempre nella
memoria e sarà più facile per il soggetto ritrovarlo.
Quello che io personalmente sostengo, anche in ambiti non del tutto psicologici come ad esempio nel
mondo dello sport (in particolare del calcio), la Téchne (la tecnica) deve essere uno strumento; noi
impariamo delle e dalle tecniche per poter scoprire, esplorare ed esperire. Non esiste l’apprendimento
di una tecnica senza emozione, ed è questa infatti che permette lo sviluppo della tecnica e l’evoluzione
della tecnologia.
Sammy Marcantognini